Disturbi dell’umore

 

A differenza di quanto si pensa, oltre alla depressione esistono diverse forme di disturbi dell’umore, tra i quali il disturbo distimico, quello maniacale ed ipomaniacale, e quello bipolare.


In questa sede, tuttavia, tratteremo solamente il disturbo depressivo, che risulta essere la psicopatologia più ricorrente all’interno della popolazione; non vi sarebbe sufficiente spazio, tra l’altro, per delineare tutti i disturbi sopra descritti, alcuni dei quali di natura più prettamente medico-psichiatrica (come nel caso del disturbo bipolare, nel quale la persona passa da episodi di grave depressione ad episodi di iperattivazione maniacale).

La depressione, del resto, deve essere considerata alla stregua di un continuum, che può andare dalla tristezza legata ad una specifica situazione, alla grave alterazione dell’umore che può portare anche alla messa in atto di condotte suicidarie.


Tutti noi, nel corso della nostra esistenza, abbiamo vissuto delle situazioni “depressive”, con sintomi molto simili a quelli presenti nel disturbo vero e proprio. È importante sottolineare che normali situazioni di tristezza, anche molto marcata, spesso associata a lutti, rotture sentimentali, perdita di lavoro e così via non possono essere considerate alla stregua di disturbi depressivi. Perché si possa correttamente parlare di depressione, è necessario che vi siano sintomi specifici non associati a situazioni particolari, o, nel caso ne siano conseguenti, essi devono durare per un periodo di tempo piuttosto lungo. La presenza di uno stato di profondo sconforto in seguito ad un lutto, ad esempio, viene considerato depressione solo se esso dura da più di sei mesi.

Le caratteristiche principali che contraddistinguono la condizione depressa sono quelle che seguono:


  1. compromissione dell’affettività: tristezza, distacco od indifferenza affettiva, con una marcata difficoltà a provare piacere o interesse nelle cose della vita;


  1. alterazione del pensiero: rallentamento, inibizione delle idee, riduzione della stima di sé. A volte la persona si fissa su un unico pensiero, una sorta di rimuginazione sul proprio stato depressivo, che rallenta i processi di apprendimento e di adattamento all’ambiente circostante;


  1. riduzione della creatività;


  1. compromissione somatiche: insonnia o eccessiva sonnolenza, mancanza di appetito, dimagrimento, perdita del desiderio sessuale, mal di testa, mancanza di energia. A volte, soprattutto nei maschi, si nota una prevalenza assoluta di questi sintomi somatici. Spesso la mattina è il momento peggiore, perché il paziente dorme male e sente il peso della giornata che gli si prospetta; alla sera, in genere, le cose vanno un po’ meglio.


  1. perdita degli interessi esistenziali: diminuita partecipazione alla vita familiare e sociale, in genere fino alla perdita del proprio ruolo sia nella famiglia che nel lavoro.



Il depresso pare vivere in un modo senza tempo, dove non esistono né ricordi belli né tanto meno prospettive per il futuro; solo la tristezza  è vissuta come immutabile. La situazione, inoltre, è aggravata dal senso di inferiorità e di colpa che affligge spesso queste persone.

La profonda convinzione del soggetto di “non valere nulla” o di avere “fallito in ogni aspetto della sua vita”, rende molto difficile la sua partecipazione ad una terapia. Nel caso di una depressione grave nella sua fase acuta, una terapia psicologica è poco indicata, perché il paziente è spesso disperato, pieno di sensi di colpa granitici, e può essere a rischio di suicidio. In situazioni del genere l’intervento farmacologico (antidepressivi, soprattutto i cosiddetti serotoninergici) è indispensabile; la psicoterapia, invece, può essere utile negli intervalli liberi delle forme ricorrenti, o quando la depressione mostra un leggero miglioramento, magari indotto dai farmaci stessi.


La psicoterapia è il trattamento elettivo soprattutto quando il disagio è legato principalmente a fattori cognitivi e relazionali. L’approccio cognitivo-comportamentale sostiene che le emozioni (compresa la depressione, appunto) sono determinate dal modo in cui una persona interpreta gli eventi; queste aspettative influenzano i comportamenti che la persona mette in atto nella vita quotidiana, andando così a rinforzare le proprie interpretazioni negative su sé stesso, sugli altri e sul futuro.


Le visoni negative di sé, del mondo e del futuro sono strutturate e mantenute da quelle che vengono definite “distorsioni cognitive”, ovvero errori nella lettura degli eventi che accadono intorno a noi. Tra questi abbiamo l’astrazione selettiva (da un particolare viene tratto un significato generale ed assoluto), l’inferenza arbitraria (si traggono conclusioni senza alcuna prova di conferma), la polarizzazione (tutto è bianco o nero, buono o cattivo) e la catastrofizzazione (un piccolo problema o una piccola difficoltà vengono vissuti come ostacoli tremendi ed insuperabili).


Molto spesso, inoltre, le aspettative negative che la persona ha costruito nel tempo in relazione a sé stesso ed agli altri, poggiano sulle cosiddette “idee irrazionali”, ovvero regole rigide attorno alle quali il soggetto organizza la sua intera vita relazionale. Concetti come “io devo essere sempre perfetto in tutto quello che faccio” diventano un cappio dal quale diventa impossibile liberarsi; non potendo, ovviamente, essere soddisfatti, doveri come questi rischiano di far sentire l’individuo inadeguato ed inutile, magari solo per aver fallito un esame o per avere avuto un rifiuto.


La prima fase del trattamento è solitamente di carattere maggiormente comportamentale; alla persona viene chiesto di mettere in atto, anche per poco tempo e in situazioni facilitanti, piccoli compiti che le davano piacere nel passato, e che possano essere facilmente portati a termine. Ad una casalinga a cui piaceva molto cucinare, per esempio, potrebbe essere chiesto inizialmente di cucinare un uovo, cercando in tal modo di aumentare il grado di soddisfazione in sé stessa e parimenti di contrastare alcune sue convinzioni negative.

Se con il progredire della terapia il soggetto diventerà sempre più in grado di vivere momenti di piacere e di soddisfazione, sarà possibile orientare l’intervento in un senso maggiormente cognitivo, aiutando la persona a riconoscere le proprie regole irrazionali, e a metterle in discussione, vedendole come possibilità e non come verità insindacabili. Solo in questo modo gli sarà possibile vivere le proprie idee come semplici pensieri, e non come realtà oggettive, riuscendo così a generare ipotesi differenti ed aspettative più adeguate alla realtà.




Prevenire le ricadute: l’uso della mindfulness


La depressione è un disturbo subdolo; anche superata la cosiddetta fase “acuta”, sono molto probabili le recidive o ricadute. Esse derivano fondamentalmente dalla tendenza ruminativa dei soggetti depressi, associata a cadute del tono dell’umore maggiormente frequenti rispetto alla norma. Rimuginare sui pensieri negativi in maniera pressochè automatica li rende particolarmente intensi e realistici per la persona che li esperisce, che finisce per identificarli con la realtà. La mindfulness è uno strumento terapeutico innovativo, nato all’interno dell’alveo teorico della psicoterapia cognitivo-comportamentale, capace di insegnare una forma di consapevolezza non giudicante del momento presente. In questo modo, essa permette alla persona di identificare le modalità di pensiero ruminativo, distaccandosene prima di scivolare nel circolo vizioso tipico della depressione. Il soggetto impara, così, a osservare semplicemente i suoi pensieri e le sue emozioni come puri “eventi” mentali, che non devono essere “affrontati” né risolti, semplicemente perché essi non sono la realtà.

La Mindfulness Cognitive Based Therapy è considerata dall’inglese  “National Institute of Clinical Excellence (NICE)” come “un trattamento altamente efficace nella prevenzione delle recidive”. Esso consta di otto sedute, a cadenza settimanale, di carattere esperienziale, sia individuale che di gruppo.






Negli ultimi tre anni ho organizzato percorsi individuali e di gruppo per molti pazienti con uno o più vissuti depressivi alle spalle. Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, o volesse partecipare al percorso terapeutico, può contattarmi ad uno dei miei recapiti nella sezione contatti



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