Disturbi dell’evoluzione

 

Disturbi dell’evoluzione


In questa sezione verranno trattati alcuni disturbi che si manifestano solitamente nel corso del’infanzia o della fanciullezza; in tale spazio, tuttavia, non verrà trattato il disturbo di autismo o gli altri disturbi pervasivi dello sviluppo, particolarmente interessanti ma senza dubbio troppo complessi per essere qui esposti in modo completo ed esaustivo.





Disturbo d’ansia da separazione


La manifestazione fondamentale del disturbo d’ansia di separazione è un’ansia eccessiva riguardante la separazione da casa o da coloro a cui il bambino è attaccato.


I soggetti con questo disturbo possono provare eccessivo malessere ricorrente riguardo alla separazione da casa o dalle figure a cui sono maggiormente attaccati. Quando sono separati dalle figure a cui sono attaccati, spesso hanno bisogno di sapere dove si trovino e di stare in contatto con loro (per es., tramite telefonate). Alcuni divengono estremamente nostalgici e sono a disagio quando sono via da casa. Possono dire bugie per ritornare a casa ed essere assorbiti da fantasie di ricongiungimento. Quando sono separati dai personaggi cui sono principalmente attaccati sono spesso assorbiti da timori riguardanti il fatto che possano accadere incidenti o malattie a questi personaggi o a loro stessi. I bambini con questo disturbo spesso esprimono il timore di essere smarriti e di non ritrovare più i loro genitori.


Possono essere riluttanti all’idea di andare a scuola o al campeggio, di far visita o di dormire a casa di amici, o di andare a fare commissioni, o possono rifiutarsi di farlo.


Questi bambini possono non essere in grado di stare in camera da soli, e possono mostrare un comportamento “appiccicoso”, o chiedere che qualcuno sia con loro quando si recano in un’altra stanza della casa.


I minori con questo disturbo spesso hanno difficoltà all’ora di andare a letto e possono insistere perché qualcuno stia con loro finché non si addormentano. Durante la notte, essi possono farsi strada a tentoni fino al letto dei genitori (o a quello di un’altra persona significativa, come un fratello); se la porta della stanza dei genitori è chiusa, possono dormire fuori dalla loro porta.

Le lamentele fisiche, come dolori di stomaco, mal di testa, nausea, e vomito, sono comuni quando la separazione avviene o viene anticipata col pensiero.


Il disturbo si manifesta maggiormente in famiglie molto unite ed affettuose; probabilmente questi bambini non hanno avuto occasioni di imparare a tollerare situazioni frustranti. All’interno di tali nuclei famigliari si tende a drammatizzare ogni eventuale malessere fisico, ricorrendo all’intervento medico anche per piccolezze, e non si abitua il minore ad affrontare con fiducia periodi di sofferenza o di solitudine.

È quindi piuttosto facile comprendere come la separazione sia molto temuta da questi soggetti, tale da indurre reazioni di intensità e caratteristiche simili all’agorafobia.

È sufficiente anche un solo attacco di ansia per produrre comportamenti di evitamento che impediscono al bambino di rendersi conto del fatto che non è inevitabile sentirsi male quando ci si allontana dai genitori.


La terapia si basa su due punti essenziali.


Da un lato è necessario un percorso di educazione razionale emotiva, che aiuti il bambino a riconoscere le sue emozioni negative ed i pensieri irrazionali che vi sono alla base, cercando di destrutturarli. Se il soggetto riesce a collegare la sensazione di ansia con l’idea di non rivedere più i genitori, sarà possibile per lui cercare di mettere alla prova la veridicità di quel pensiero, e di produrre dei pensieri alternativi (“altre volte si sono allontanati da me, ma poi sono sempre tornati”).


Dal’altro lato è indispensabile utilizzare tecniche di desensibilizzazione sistematica e dal vivo.

Attraverso la desensibilizzazione sistematica si fanno affrontare al soggetto situazioni ansiogene con l’immaginazione, dopo avergli insegnato una tecnica di rilassamento che contrasti l’attacco d’ansia; egli si muove gradualmente nelle circostanze di sempre maggior difficoltà di gestione, associandole a sensazioni di relativo benessere. Quando si acquisisce un’adeguata familiarità con queste situazioni, si passa ad una esposizione vera e propria, che permetta di affrontarle realmente.

Queste tecniche, oltre a produrre una riduzione dell’ansia, permettono anche, e forse soprattutto, di mettere alla prova le paure del bambino, evidenziandone in tal modo l’erroneità.


È molto importante, infine, ricordare che le reazioni ansiose sono fortemente soggetto al processo di modellamento, ovvero sono facilmente apprese dai modelli educativi del minore stesso. Risulta importante, dunque, compiere un lavoro parallelo sui genitori o gli insegnanti, affinchè diventino modelli positivi, capaci di affrontare situazioni blandamente ansiogene senza essere sopraffatti dalla paura.




Disturbi dell’apprendimento


I disturbi dell’apprendimento vengono diagnosticati quando i risultati ottenuti dal soggetto in test standardizzati, somministrati individualmente, su lettura, calcolo, o espressione scritta risultano significativamente al di sotto di quanto previsto in base all’età, all’istruzione, e al livello di intelligenza. I problemi di apprendimento interferiscono in modo significativo con i risultati scolastici o con le attività della vita quotidiana.

Tali disturbi devono essere differenziati da normali variazioni nei risultati scolastici e da difficoltà scolastiche dovute a mancanza di opportunità, insegnamento scadente, o fattori culturali. Un’istruzione inadeguata può avere come risultato una scadente prestazione ai test standardizzati di rendimento. I bambini con retroterra etnico o culturale diverso rispetto alla cultura scolastica prevalente, o che seguono i loro studi in lingue diverse dalla lingua madre, o i bambini che hanno frequentato scuole dove l’insegnamento è stato inadeguato possono avere punteggi bassi ai test di rendimento.


Tra questi disturbi abbiamo quello della lettura, del calcolo e dell’ espressione scritta.



Disturbo della lettura:

La caratteristica fondamentale del disturbo della lettura è data dal fatto che il livello di capacità di leggere raggiunto dal bambino (cioè, precisione, velocità, o comprensione della lettura misurate da test standardizzati somministrati individualmente) si situa sostanzialmente al di sotto di quanto ci si aspetterebbe data l’età cronologica del soggetto, la valutazione psicometrica dell’intelligenza, e un’istruzione adeguata all’età. L’anomalia della lettura interferisce notevolmente con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di lettura.

Nei soggetti con tale disturbo (che è stato anche definito “dislessia”), la lettura orale è caratterizzata da distorsioni, sostituzioni o omissioni; sia la lettura orale che quella a mente sono caratterizzate da lentezza ed errori di comprensione.


Da un punto di vista terapeutico, è necessario evidenziare la presenza di due percorsi differenti, a secondo delle difficoltà del minore e dei deficit cognitivi sottostanti.

I “training centrati sul deficit” si concentrano sull’individuazione dei processi cognitivi carenti e la riabilitazione specifica degli stessi. Se il bambino presenta difficoltà di discriminazione visiva, o di fusione fonemica, l’addestramento sarà orientato in queste direzioni. Questo è possibile attraverso apposite “analisi del compito” capaci di suddividere l’abilità di lettura in elementi semplici, ed in obiettivi e sotto-obiettivi semplificati, oppure attraverso il cosiddetto “apprendimento senza errori”, che consiste nel costruire compiti semplificati attraverso l’uso di aiuti particolarmente forti che impediscano di commettere errori. In un compito di discriminazione della lettera iniziale, le parole CANE  e PANE possono essere presentate trasformando la C nel disegno di un cagnolino, in modo da rendere facile la discriminazione. Questa procedura, ovviamente, prevede una fase di attenuazione dell’aiuto, non appena il bambino mostri di essere in grado di superare la difficoltà.


Nel caso in cui il minore sappia leggere, ma legge male pur non avendo alcun deficit specifico, il trattamento è orientato globalmente alla prestazione. Il principio è quello di usare le tecniche di “modellaggio” e di successivo “rinforzamento differenziale”. All’inizio è importante rinforzare i piccoli miglioramenti mostrati dal bambino, in modo graduale e progressivo, aumentando così la sua autostima e la motivazione al miglioramento. in seguito è possibile evidenziare anche gli aspetti negativi delle prestazioni, utilizzando ad esempio dei feedback informativi che aiutino il bambino a conoscere il numero ed il tipo di errori commessi per poterli correggere adeguatamente.



Disturbo del calcolo:

La caratteristica principale del disturbo del calcolo è una capacità di calcolo (misurata con test standardizzati somministrati individualmente sul calcolo o sul ragionamento matematico) che si situa sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza, e a un’istruzione adeguata all’età; esso interferisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di calcolo.

È possibile che siano compromesse diverse capacità, incluse le capacità “linguistiche” (per es., comprendere o nominare i termini, le operazioni, o i concetti matematici, e decodificare problemi scritti in simboli matematici), capacità “percettive” (per es., riconoscere o leggere simboli numerici o segni aritmetici e raggruppare oggetti in gruppi), capacità “attentive” (per es., copiare correttamente numeri o figure, ricordarsi di aggiungere il riporto e rispettare i segni operazionali) e capacità “matematiche” (per es., seguire sequenze di passaggi matematici, contare oggetti, e imparare le tabelline).


Questo disturbo diviene di solito evidente durante la seconda o la terza elementare.


Le tecniche terapeutiche sono simili a quelle sopra descritte; modellaggio, rinforzamento differenziale, analisi del compito ed apprendimento senza errori (detto anche “fading”). Ovviamente gli aiuti grafici, in questo caso, sono correlati allo specifico disturbo del minore; in un compito di addizione, ad esempio, è possibile disegnare accanto ad ogni addendo un numero di palline corrispondenti, e poi cerchiare tutte le palline così ottenute per visualizzare il risultato.


È molto utile anche l’utilizzo delle cosiddette “autoistruzioni”, esperienza che consiste nell’insegnare al bambino a darsi da solo le istruzioni verbali necessarie all’esecuzione di un compito, attraverso l’uso di un linguaggio interno.

In questo modo è possibile che il minore possa cambiare il proprio stile attributivo, diventando meno passivo e più consapevole del proprio controllo sul compito; questo potrebbe permettergli di acquisire un atteggiamento più positivo nei confronti della matematica, ed un maggior controllo dell’ansia di fronte a compiti matematici.



Disturbo dell’espressione scritta:

La caratteristica fondamentale del disturbo dell’espressione scritta è una capacità di scrittura (misurata con un test standardizzato somministrato individualmente o con una valutazione funzionale delle capacità di scrittura) che si situa sostanzialmente al di sotto di quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto, alla valutazione psicometrica dell’intelligenza, e a un’istruzione adeguata all’età. Tale anomalia interferisce notevolmente con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana che richiedono capacità di scrittura.


Sono presenti, in genere, un insieme di difficoltà nella capacità del soggetto di comporre testi scritti, evidenziata da errori grammaticali o di punteggiatura nelle frasi, scadente organizzazione in capoversi, errori multipli di compitazione, e calligrafia deficitaria.

Compiti in cui al bambino viene chiesto di copiare, di scrivere sotto dettatura e di scrivere spontaneamente possono essere tutti necessari per valutare la presenza e l’entità di questo disturbo.


Il disturbo di solito si manifesta in seconda elementare.


Le procedure terapeutiche sono molto simili a quelle utilizzate per gli altri disturbi dell’apprendimento, e che sono state sopra esposte.


Mi sembra interessante sottolineare in questa sede quanto sia importante, per questi disturbi, modificare positivamente sia l’ambiente scolastico sia quello familiare. Da un lato, infatti, è decisivo per la buona riuscita della terapia che gli insegnanti capiscano a fondo il significato della patologia, e che comprendano di avere di fronte non un allievo svogliato o colpevole, ma un bambino che soffre di alcune inadeguatezze e che ha pertanto bisogno di attenzioni ed incoraggiamenti. Dall’altro lato è bene che i genitori siano informati con chiarezza sulle necessità del figlio e possano imparare ad aiutarlo applicando metodi di intervento simili a quelli usati dal professionista. Il lavoro con i genitori, chiamato “parent training”, è orientato a migliorare il clima famigliare, favorisce la generalizzazione ed il mantenimento dei miglioramenti acquisiti, e riduce il rischio di complicazioni emotive.




Disturbi da deficit di attenzione e di comportamento dirompente


Questa sezione include il disturbo da deficit di attenzione/iperattività, che è caratterizzato da imponenti sintomi di disattenzione e/o di iperattività-impulsività, ed i disturbi da comportamento dirompente; fra questi ultimi abbiamo il disturbo della condotta che è caratterizzato da una modalità di comportamento che lede i diritti fondamentali degli altri oppure le principali norme o regole sociali adeguate alla età, ed il disturbo oppositivo provocatorio che è caratterizzato da una modalità di comportamento negativistica, ostile, e provocatoria.



Disturbo da deficit di attenzione/iperattività:

La caratteristica fondamentale di questo disturbo è una persistente modalità di disattenzione e/o di iperattività-impulsività che è più frequente e più grave di quanto si osserva tipicamente in soggetti ad un livello di sviluppo paragonabile.


Alcuni sintomi di iperattivà-impulsività o di disattenzione che causano menomazione devono essere stati presenti prima dei 7 anni di età.

Una certa compromissione a causa dei sintomi deve essere presente in almeno 2 contesti (a casa e a scuola ad esempio).


La disattenzione può manifestarsi in situazioni scolastiche, lavorative, o sociali. I soggetti con questo disturbo possono non riuscire a prestare attenzione ai particolari o possono fare errori di distrazione nel lavoro scolastico o in altri compiti. Il lavoro è spesso disordinato e svolto senza cura e senza ponderazione.

I soggetti spesso hanno difficoltà a mantenere l’attenzione nei compiti o nelle attività di gioco, e trovano difficile portare a termine i compiti. Spesso sembra che la loro mente sia altrove o che essi non ascoltino o non abbiano sentito quanto si è appena detto loro.

Possono esservi frequenti passaggi da un’attività ad un’altra senza completarne nessuna. I soggetti a cui è stato diagnosticato questo disturbo possono cominciare a fare qualcosa, passare ad altro, poi dedicarsi a qualcos’altro ancora, prima di portare a termine qualsiasi cosa. Essi spesso non soddisfano le richieste o non riescono a seguire le istruzioni e non portano a termine compiti, incombenze o altri doveri.

Il modo di lavorare è spesso disorganizzato e il materiale necessario per svolgere il compito viene spesso disperso, oppure maneggiato senza cura e danneggiato. I bambini con questo disturbo sono facilmente distratti da stimoli irrilevanti e frequentemente interrompono compiti in corso di svolgimento per prestare attenzione a rumori senza importanza o ad eventi che di solito sono con tutta probabilità ignorati da altri (per es., il clacson di un’auto, una conversazione di sottofondo). Nelle situazioni sociali, la disattenzione può essere espressa dal fatto che cambiano spesso d’argomento nella conversazione, non ascoltano gli altri, non prestano attenzione alle conversazioni e non seguono le indicazioni o le regole di giochi o attività.


L’iperattività può essere manifestata agitandosi e dimenandosi sulla propria sedia, non restando seduti quando si dovrebbe, correndo senza freni o arrampicandosi in situazioni in cui ciò è fuori luogo o può esprimersi con difficoltà a giocare o a dedicarsi tranquillamente ad attività da tempo libero  o con il sembrare spesso “sotto pressione” o “motorizzati”, oppure col parlare troppo.


L’impulsività si manifesta con l’impazienza, la difficoltà a tenere a freno le proprie reazioni, “sparando” le risposte prima che le domande siano state completate, con difficoltà ad attendere il proprio turno, e con l’interrompere spesso gli altri o l’intromettersi nei fatti altrui fino al punto di causare difficoltà nell’ambiente sociale e scolastico.

Gli altri possono lamentarsi di non riuscire a dire una parola in una conversazione. I minori affetti da questo disturbo tipicamente fanno commenti non richiesti, non ascoltano le direttive, iniziano conversazioni quando non è il momento, interrompono eccessivamente gli altri, sono invadenti nei confronti degli altri, arraffano oggetti altrui, toccano cose che non dovrebbero toccare, e fanno i pagliacci.


I segni del disturbo possono essere minimi o assenti quando il bambino riceve frequenti premi per il comportamento appropriato, quando è sotto controllo molto stretto, in un ambiente nuovo, o quando è impegnato in attività particolarmente interessanti, o in una situazione a due (per es., lo studio del medico). È più probabile che i sintomi si manifestino in situazioni di gruppo (per es., giochi di gruppo, classi…).


Sebbene molti dei soggetti abbiano sintomi sia di disattenzione che di iperattività-impulsività, in alcuni di essi predomina o l’una o l’altra caratteristica.


In un bambino che manifesta i sintomi di questo disturbo si innestano, con maggior probabilità, modalità interattive ed educative inadeguate che concorrono ad aggravare il quadro. Le modalità relazionali inadatte, ed in particolare la rabbia, l’aggressività, l’incoerenza e l’estremismo educativo si collocano, spesso, all’interno di un meccanismo di interazione; esse sono contemporaneamente causa ed effetto della patologia.


Il trattamento psicologico è basato, soprattutto nelle prime fasi, sui processi di estinzione e di rinforzamento differenziale; essi consistono nello stabilire alcuni comportamenti inadeguati dei quali si desidera ridurre la frequenza (per esempio alzarsi continuamente dalla sedia), nell’individuare comportamenti adeguati incompatibili con i primi (colorare seduti al banco), e nell’ignorare sistematicamente le azioni negative, rinforzando quelle positive. In tal modo i comportamenti inadatti tendono ad estinguersi, mentre quelli più appropriati si mantengono nel tempo.


Quando si raggiunge con il bambino una certa stabilità di comportamento, è possibile introdurre la cosiddetta “token economy”. Questa tecnica permette di passare dall’uso di rinforzatori più concreti e tangibili (oggetti) all’uso di quelli meno concreti, sociali ed informativi (un sorriso o una frase di incoraggiamento). Quando il soggetto mette in atto il comportamento desiderato riceve un rinforzatore “simbolico”, (dei gettoni per esempio); alla fine, quando avrà raggiunto un certo numero di questi rinforzatori, li potrà “scambiare” con altri di livello più alto, o per lui particolarmente importanti, come andare ad una gita, o acquistare un videogioco.

A ben pensarci, i punti spesa del supermercato si basano sullo stesso principio; la token economy, in tal senso, agisce da potente modificatore del comportamento, anche quello adulto.


Queste procedure, con grande probabilità, non si limitano a migliorare le condotte, ma incidono anche sull’autostima, e sull’autoefficacia dei minori. Di solito questi soggetti sono abituati ad essere puniti piuttosto che rinforzati; in questo modo la loro immagine di sé finisce per risultare piuttosto compromessa al punto che non riescono più a credere di poter ottenere buoni risultati e lodi se si impegnano a fondo nel tentativo di controllarsi. Sul piano della pratica clinica si osserva come l’associazione tra modellaggio, rinforzamento differenziale, token ed autovalutazione permettono di superare, almeno in parte, questo problema.


Un aspetto terapeutico importante è anche quello più prettamente “cognitivo-emozionale”, che non va dimenticato perché capace di rafforzare e mantenere nel tempo i miglioramenti comportamentali.

Attraverso l’ “educazione razionale emotiva” è possibile insegnare al minore la differenza tra pensieri razionali e pensieri irrazionali, ed è possibile aiutarlo a rendersi conto degli effetti negativi che questi ultimi hanno sul suo stato emotivo. In questo modo, il bambino diventa consapevole che non è possibile pretendere tutto e subito, e che alcune richieste sono inaccettabili ed inadeguate.

Spesso può essere particolarmente utile il cosiddetto “training di abilità sociali”, di cui spesso questi soggetti sono carenti; attraverso queste tecniche si insegna loro ad esprimere i bisogni con le parole piuttosto che con i sintomi, rafforzando una comunicazione adeguata piuttosto che una improntata all’aggressività.




Disturbo della condotta:

La caratteristica fondamentale del disturbo della condotta è una modalità di comportamento ripetitiva e persistente in cui i diritti fondamentali degli altri oppure le norme o le regole della società appropriate per l’età adulta vengono violate.


Questi comportamenti si inseriscono in quattro gruppi fondamentali: condotta aggressiva che causa o minaccia danni fisici ad altre persone o ad animali, condotta non aggressiva che causa perdita o danneggiamento della proprietà, frode o furto, e gravi violazioni di regole.


La modalità di comportamento è di solito presente in diversi ambienti, come la casa, la scuola, o la comunità.


I bambini o gli adolescenti con questo disturbo spesso innescano comportamento aggressivo e reagiscono aggressivamente contro gli altri.

Essi possono mostrare un comportamento prepotente, minaccioso, o intimidatorio; dare inizio frequentemente a colluttazioni fisiche; usare un’arma che può causare seri danni fisici (per es., un bastone, una barra, una bottiglia rotta, un coltello, o una pistola); essere fisicamente crudeli con le persone o con gli animali; rubare affrontando la vittima (per es., aggressione a scopo di furto, scippo, estorsione, o rapina a mano armata); oppure forzare un’altra persona all’attività sessuale.


La frode o il furto sono comuni e possono includere la penetrazione in edifici, domicili, o automobili altrui; frequenti menzogne o rottura di promesse per ottenere vantaggi o favori, o per evitare debiti od obblighi (per es., raggirare altre persone); o rubare articoli di valore senza affrontare la vittima (per es., furti nei negozi, falsificazioni).


I ragazzi con questo disturbo spesso hanno l’abitudine, che esordisce prima dei 13 anni, di stare fuori fino a tarda notte nonostante le proibizioni dei genitori. Può anche esservi l’abitudine di star fuori da casa per tutta la notte. I ragazzi con questo disturbo possono spesso marinare la scuola, iniziando a farlo prima dei 13 anni di età.


I soggetti con disturbo della condotta possono avere scarsa empatia e scarsa attenzione per i sentimenti, i desideri, e il benessere degli altri.

Essi possono essere insensibili e mancare di adeguati sentimenti di colpa o di rimorso. Può essere difficile valutare se il rimorso mostrato è genuino perché alcuni di questi soggetti imparano che esprimere la colpa può ridurre o prevenire la punizione. I soggetti con questo disturbo possono senza esitazione denunciare i propri compagni e tentare di accusare altri dei propri misfatti. L’autostima è di solito scarsa, sebbene il minore possa avere l’aspetto di un duro.

Questo disturbo è spesso associato con un inizio precoce dell’attività sessuale, del bere, del fumare, dell’uso di sostanze illecite, e di azioni spericolate e rischiose. L’uso di sostanze illecite può aumentare il rischio di persistenza del disturbo stesso.


Il disturbo della condotta, specie quello che esordisce nella fanciullezza, è molto più comune nei maschi.

Le differenze di genere si riscontrano anche nei tipi specifici di problemi di condotta. I maschi con questa diagnosi manifestano spesso aggressività fisica, furto, vandalismo, e problemi di disciplina scolastica. Le femmine, d’altro canto, mostrano con maggiori probabilità menzogne, assenze da scuola, fughe, uso di sostanze, e prostituzione.


Da un punto di vista terapeutico, è necessario utilizzare tecniche attraverso le quali insegnare al ragazzo ad esprimere una rimostranza, a prepararsi ad una conversazione stressante, ad affrontare accuse, ad ascoltare, a chiedere aiuto, a riconoscere le proprie emozioni e quelle degli altri, a trovare alternative all’aggressività, ed a padroneggiare metodi di autocontrollo e di problem solving.

Questo può essere ottenuto attraverso l’analisi del compito (attraverso la quale si scompone un compito complesso nelle sue parti più semplici per facilitarne la messa in atto), il rinforzamento sociale e procedure di “role-playing” (tecnica attraverso la quale il bambino prova alcuni comportamenti, come se fosse un attore, per poi essere in grado di metterli in atto efficacemente nelle situazioni reali che affronterà nel futuro).


Nel caso di questi soggetti è molto importante compiere un lavoro parallelo sui genitori e gli educatori che si relazionano con loro. Come descritto in precedenza, i rapporti che si instaurano con i minori che presentano tale disturbo sono spesso improntati all’incoerenza ed all’imprevedibilità; il genitore può passare, senza un’apparente giustificazione razionale, da un affetto senza freni ad un’indifferenza glaciale. Ovviamente queste modalità sono molto negative ed è necessario cercare di modificarle.




Disturbo oppositivo provocatorio:

La caratteristica fondamentale del disturbo oppositivo provocatorio è una modalità ricorrente di comportamento provocatorio, disobbediente, ed ostile nei confronti delle figure dotate di autorità.  Esso è caratterizzato da almeno uno dei seguenti comportamenti: perdita di controllo, litigi con gli adulti, opposizione attiva o rifiuto di rispettare richieste o regole degli adulti, azioni deliberate che danno fastidio agli altri, accusare gli altri dei propri sbagli o del proprio cattivo comportamento, essere suscettibile o facilmente infastidito dagli altri, essere collerico e risentirsi, o essere dispettoso o vendicativo.


L’oppositività può includere la deliberata o persistente messa alla prova dei limiti, di solito ignorando gli ordini, litigando e non accettando i rimproveri per i misfatti. L’ostilità può essere diretta contro gli adulti o i coetanei e viene espressa disturbando deliberatamente gli altri o con aggressioni verbali.


Le manifestazioni del disturbo sono quasi invariabilmente presenti nell’ambiente familiare, e possono non essere evidenti a scuola o nella comunità. I sintomi del disturbo sono tipicamente più evidenti nelle interazioni con gli adulti o i coetanei che il soggetto conosce bene.

Di solito i soggetti con questo disturbo non si considerano oppositivi o provocatori, ma giustificano il loro comportamento come una risposta a richieste o circostanze irragionevoli.


Dal momento che un comportamento oppositivo transitorio è molto comune nei bambini in età prescolare e negli adolescenti, si dovrebbe usare cautela nel fare la diagnosi di tale disturbo specie durante questi periodi di sviluppo.


In una quantità significativa di casi, il disturbo oppositivo provocatorio precede lo sviluppo del disturbo della condotta.

I comportamenti dirompenti dei soggetti con il disturbo oppositivo sono di natura meno grave rispetto a quelli dei soggetti con disturbo della condotta e tipicamente non includono aggressioni contro persone o animali, distruzione di proprietà, o l’abitudine al furto o alla frode.


Essendo i due disturbi così strettamente correlati, il percorso terapeutico è molto simile a quello sopra esposto. È indubbio, per altro, che un intervento psicologico relativo al disturbo oppositivo sia caratterizzato da una più alta probabilità di successo.




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