Disturbi dell’alimentazione

 

I Disturbi dell’ alimentazione sono caratterizzati dalla presenza di grossolane alterazioni del comportamento alimentare. Questa sezione di disturbi comprende due categorie specifiche, l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa.

Caratteristica essenziale comune ad entrambi i disturbi è la presenza di una alterata percezione del peso e della propria immagine corporea.



Anoressia nervosa


Le manifestazioni essenziali del disturbo sono il rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra del peso minimo normale, l’ intenso timore di acquistare peso, e la presenza di una alterazione dell’immagine corporea per ciò che riguarda forma e dimensioni corporee. Inoltre nel sesso femminile, in epoca post-puberale, vi è amenorrea, ovvero la perdita del ciclo mestruale.

Vi è da sottolineare che il termine anoressia è inappropriato poiché è rara la perdita di appetito.


L’individuo mantiene un peso corporeo al di sotto di quello minimo normale per l’età e l’altezza.

La perdita di peso è primariamente ottenuta tramite la riduzione della quantità totale di cibo assunta. Sebbene la restrizione calorica possa essere inizialmente limitata all’esclusione di cibi considerati ipercalorici, nella maggior parte dei casi questi soggetti finiscono per avere un’ alimentazione rigidamente limitata a poche categorie di cibi. In aggiunta possono essere messe in atto condotte di eliminazione (es. vomito autoindotto, uso inappropriato di lassativi e diuretici) o la pratica eccessiva di attività fisica, allo scopo di perdere peso.

L’intensa paura di “diventare grassi”, presente nei soggetti con questo disturbo, non è solitamente mitigata dalla riduzione del peso. Anzi, in molti casi la preoccupazione per il peso corporeo aumenta parallelamente alla perdita reale di peso.


La percezione ed il valore attribuiti all’aspetto fisico ed al peso corporeo risultano fortemente distorti. Alcuni si sentono grassi in riferimento alla totalità del loro corpo, altri pur ammettendo la propria magrezza, percepiscono come “troppo grasse” alcune parti del corpo, in genere l’addome, i glutei, le cosce. Possono adottare le tecniche più disparate per valutare dimensioni e peso corporei, come pesarsi di continuo, misurarsi ossessivamente con il metro, o controllare allo specchio le parti percepite come “grasse”.


L’anoressia si manifesta, nella maggior parte dei casi, nelle femmine (93% dei casi); essa si presenta, in un primo momento, come il desiderio di intraprendere una dieta dimagrante da parte di soggetti spesso in leggero sovrappeso, che tuttavia affermano di sentirsi notevolmente grasse.

All’inizio della dieta le ragazze provano una forte fame, ma imparano ben presto a considerare questa sensazione come il segno della propria forza d’animo. Il loro spirito trionfa sulla “carne”; pur avendo fame fanno prevalere il digiuno. È possibile affermare che imparano ad attribuire alla fame ed alla perdita di peso un forte valore di rinforzo, considerando una punizione estrema vedere il proprio corpo gonfio e grasso. Vivono come umiliante la sensazione di aver “ceduto” alimentandosi, e come quasi scandaloso il fatto di essere viste mangiare.


La ragazza anoressica, tutta protesa alla spiritualità ed alla purezza, desidera ardentemente essere oggetto di complimenti, ma non accetta di essere toccata. Il sesso è considerato alla stregua della fame, un bisogno fisico che deve essere controllato ed arrestato.


Dal dimagrimento e dal digiuno, queste persone sembrano trarre sferzate di energia; studiano o lavorano come mai in precedenza, e non stanno mai sedute o sdraiate in modo da perdere altre calorie attraverso il continuo esercizio fisico. La magrezza viene interpretata come l’unico strumento attraverso il quale poter essere accettata dagli altri, e capace di far fronte a tutti i problemi della vita. Ma in questo modo, paradossalmente, proprio la persona anoressica che desiderava essere incorporea e lontana dai bisogni terreni, si ritrova a pensare continuamente al cibo, a come poterlo evitare e alle calorie da bruciare.


È importante prendere in considerazione anche l’aspetto relazionale; un’anoressica spesso cambia profondamente i rapporti familiari e sociali, i quali, a loro volte, la influenzano altrettanto fortemente.

L’anoressia può, infatti, assumere un valore di messaggio, attraverso il quale poter ottenere attenzioni e protezione, e che suscita preoccupazione; questi fattori, tuttavia, sono altamente rinforzanti sia per la paziente sia per il suo nucleo familiare. Una ragazza anoressica, infatti, nei primi stadi del disturbo, è una “figlia-modello”, capace di raggiungere ottime prestazioni in tutte le attività a cui si dedica; successivamente, essa appare fragile ed incapace di avere rapporti affettivi esterni alla famiglia, e questo può essere favorevolmente valutato da genitori rigidi ed ansiosi.

Il gruppo di amici pone spesso poche richieste a queste ragazze: il loro aspetto fisico così fragile non causa desideri o richieste sessuali, ma piuttosto rapporti d’affetto e di comunicazione spesso molto profondi e gratificanti.


Il principale obiettivo terapeutico con una persona che presenta questo problema non è tanto quella di farla ingrassare, quanto piuttosto quello di liberarla dalla trappola costituita dal rapporto con il cibo e con il suo corpo.

Nella prima fase della terapia può essere utile concordare con la paziente il raggiungimento di un peso considerato “non pericoloso” dalla stessa; spesso, aumentando di qualche chilo, la persona riesce a sentirne immediatamente i benefici, sia fisici che psicologici, e questi costituiscono il principale rinforzo al percorso terapeutico, che è spesso lungo e complesso. Oltre ad una grande motivazione ed al necessario coinvolgimento di molte persone per lei  significative, spesso si prevede un trattamento farmacologico di tipo antidepressivo.


Un altro aspetto da affrontare in sede di terapia è senz’altro quello cognitivo; l’anoressica tende, infatti, a presentare molte doverizzazioni irrazionali, del tipo “devo essere sempre perfetta in tutto quello che faccio” associate ad errori cognitivi quali la catastrofizzazione e il pensiero “tutto o nulla” (esempio: “se il mio pesa aumenta non riuscirò più a controllarlo”). È per questo motivo che una chiave terapeutica è senza dubbio quella della ristrutturazione cognitiva, attraverso la quale disinnescare i pensieri potenzialmente disturbanti, ed aiutare la persona ad identificare elementi di valutazione di sé maggiormente realistici ed adeguati.


Un esercizio particolarmente utile con queste pazienti è quello teso a valutare la presenza della distorsione della propria immagine corporea. Si prende uno spago e si chiede alla persona di segnare con un pennarello di un certo colore quello che ritiene sia il corrispondente della propria vita, dei fianchi, o altre parti del corpo; poi questo stesso spago viene usato per prendere le reali misure di queste circonferenze, segnandole con colori differenti. Il confronto tra i due segni permette alla paziente di “vedere” la presenza di una distorsione nella visione del proprio corpo, e questo può facilitare di molto il lavoro di ristrutturazione di altre convinzioni irrazionali.



Bulimia nervosa


Le manifestazioni essenziali della bulimia nervosa sono la presenza di abbuffate e di inappropriati metodi compensatori per prevenire il conseguente aumento di peso. Inoltre i livelli di autostima sono eccessivamente condizionati dalla forma e dal peso corporeo.

Una abbuffata, o crisi bulimica, è definita come l’ingestione in un determinato periodo di tempo di una quantità di cibo più grande rispetto a quanto la maggioranza degli individui assumerebbe in circostanze simili. Ogni singolo episodio di abbuffata non deve avvenire necessariamente in un unico contesto; l’abbuffata può iniziare al ristorante e concludersi a casa. Non può essere considerata un’ abbuffata il continuo “spiluccare” piccole quantità di cibo durante l’arco della giornata.

Sebbene il tipo di cibo assunto durante l’abbuffata vari ampiamente, generalmente comprende cibi dolci, ipercalorici, come gelato o torte. Comunque, ciò che sembra caratterizzare l’abbuffata è soprattutto l’ anomalia nella quantità del cibo piuttosto che la compulsione verso un alimento specifico, come ad esempio, i carboidrati.


I soggetti con bulimia tipicamente si vergognano delle loro abitudini alimentari patologiche e tentano di nasconderle. Le crisi bulimiche avvengono in solitudine, quanto più segretamente possibile; sono spesso accompagnate, tra l’altro, dalla sensazione di perdita di controllo. L’episodio può essere più o meno pianificato, ed è di solito caratterizzato (anche se non sempre) dalla rapidità dell’ingestione del cibo. L’abbuffata spesso continua finché l’individuo non si sente “così pieno da star male”, ed è anticipata da stati di umore depresso, condizioni di stress, intensa fame a seguito di una restrizione dietetica, oppure da sentimenti di insoddisfazione relativi al peso, la forma del corpo o il cibo. Durante l’abbuffata vi può essere una transitoria riduzione della disforia (stato di inquietudine), ma spesso fanno seguito umore depresso e spietata autocritica.


Un’altra caratteristica essenziale del disturbo è il frequente ricorso a inappropriati “comportamenti compensatori” per prevenire l’incremento di peso. Molte persone con bulimia mettono in atto diversi comportamenti tesi a neutralizzare gli effetti dell’abbuffata; tra i metodi, quello più frequentemente adottato è l’autoinduzione del vomito dopo l’abbuffata. In alcuni casi il vomito rappresenta l’effetto ricercato; la persona si abbuffa per poter vomitare, oppure vomita anche per piccole quantità di cibo. I soggetti con bulimia possono adoperare diversi stratagemmi per indursi il vomito, come l’uso delle dita o di altri strumenti per scatenare il riflesso del vomito attraverso la stimolazione del faringe. In genere, nelle fasi avanzate del disturbo questi soggetti riescono a vomitare a comando.


Altre condotte di eliminazione sono rappresentate dall’uso inappropriato di lassativi e diuretici.

Altre misure compensatorie per le abbuffate sono il digiuno nei giorni successivi o l’esercizio fisico eccessivo. L’attività fisica è considerata eccessiva quando interferisce con altre importanti attività, quando avviene ad orari o in luoghi inusuali, o quando viene praticata nonostante le precarie condizioni fisiche.


Il vomito o l’uso dei lassativi agiscono come una sorta di “rimedio” alla trasgressione; essi permettono di contrastare il senso di colpa per la perdita di controllo.


Il terrore di ingrassare, il desiderio di perdere peso, il livello di insoddisfazione per il proprio aspetto fisico sono sovrapponibili a quelli dei soggetti con anoressia.

Anche la bulimia, infatti, si caratterizza per essere un disturbo tipicamente “femminile”. Le ragazze che presentano questo problema fanno spesso parte di famiglie iperprotettive, attente all’aspetto formale e con rigide regole di comportamento; tra esse si notano anche un’alta incidenza di depressione, rabbia e forti fluttuazioni d’ansia.

Molte pazienti con bulimia presentano complicazioni mediche, soprattutto causate dal frequente vomito autoindotto, o per l’abuso di lassativi; per questo, spesso è necessario ricorrere al ricovero ospedaliero.


La prima richiesta in fase di terapia è spesso la compilazione di un diario alimentare; l’auto-osservazione permette alla persona di porre in relazione l’abbuffata con pensieri o comportamenti che possono essere eventi scatenanti o conseguenze rinforzanti della stessa. Compreso questo, può essere più semplice mettere in atto alcuni elementi capaci di disinnescare una potenziale crisi bulimica. Dopo aver osservato le circostanze ambientali ed i fattori che influenzano il comportamento dell’abbuffata o del vomito indotto, diventa possibile pianificare delle attività alternative che siano in contrasto con queste stesse azioni. Per ridurre la presenza delle abbuffate, per esempio, vi sono strategie sia alimentari (pianificazione dei pasti) sia psicologici (ritardo delle abbuffate, distrazione), che devono essere strutturate con l’attiva collaborazione della paziente.

Il lavoro terapeutico è orientato al cambiamento di molte idee irrazionali presentate dalla bulimica (“non valgo nulla”, “ho fatto un errore, e questo significa che sono un fallimento totale”, “se non raggiungo certi obiettivi, allora tanto val lasciare perdere tutto perché significa che non riuscirò mai a combinare niente di buono”), alla gestione delle emozioni dirompenti, quali rabbia e senso di colpa, e all’acquisizione di nuove competenze alimentari e sociali. È importante tener conto, infatti, che elaborazioni distorte del proprio valore personale o delle proprie relazioni interpersonali sono spesso l’innesco di un’abbuffata.

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