disturbi d’ansia

 

L’ansia è una normale risposta del nostro corpo. La potremmo considerare un lascito dell’evoluzione alla nostra natura animale. La cosiddetta risposta di attacco e fuga è presente in tutti gli esseri viventi, ed è fondamentale per la sopravvivenza della specie. Essa, infatti, determina cambiamenti fisiologici grazie ai quali sia possibile fuggire dal pericolo o lottare contro di esso. Se ci pensiamo bene, fuggire da un leone per una gazzella, è molto simile all’azione con la quale noi attraversiamo la strada ogni giorno. Senza ansia saremmo investiti dalla prima auto che incontriamo, non andremmo al lavoro, non ci occuperemmo della nostra salute e così via.


L’ansia non è una nostra nemica, ma anzi è necessaria per la nostra esistenza. È importante sottolineare questo aspetto, perché spesso i pazienti che vogliono intraprendere una terapia per i disturbi d’ansia vorrebbero sbarazzarsene. In realtà l’obiettivo è di apprendere una nuova forma di gestione dell’ansia stessa. La risposta di attacco o fuga è automatica in relazione alla percezione di una grave minaccia, e non può essere modificata. È possibile modificare, invece, il modo di interpretare situazioni ed eventi.


Un aspetto centrale in praticamente tutti i disturbi d’ansia è il cosiddetto nucleo del controllo. In molte di queste persone, infatti, la capacità di mantenere il controllo totale di ogni situazione è un dovere, senza il quale si sentirebbero totalmente in balia degli eventi. Spesso, alla presentazione del disturbo, essi si sentono alla mercè di situazioni o di sensazioni totalmente soverchianti, nei confronti delle quali non è possibile fare nulla, almeno a breve termine. È spesso questo il fattore predisponente e perpetuante di un disturbo d’ansia; una volta sperimentata una tale mancanza di controllo, la persona è terrorizzata dalla possibilità di riviverla, e nel tentativo di scongiurare una tale evenienza, evita tutte le situazioni simili a quella vissuta, rinforzando tuttavia la sensazione di lasciare la propria vita in balia di eventi incontrollabili. Provate a pensare: se fuggiamo accuratamente le situazioni che ci spaventano, non solo rinforzeremo l’idea che esse sono davvero pericolose (perché fuggire, altrimenti?), ma d’altro canto non riusciremo a trovare delle prove contrarie alle nostre aspettative.


Molto spesso alla base di molti disturbi d’ansia vi sono delle importanti difficoltà nella gestione dello stress. A tal fine, un metodo molto utile consiste nell’imparare esercizi di rilassamento (ve ne sono molteplici) tra cui quello della cosiddetta “respirazione lenta”. Tutti noi respiriamo, ma spesso lo facciamo in maniera del tutto automatica, a volte non accorgendoci di farlo in maniera inadeguata. Molti, infatti, tendono ad iperventilare, mettendo troppo ossigeno nel sangue, e sviluppando spesso sintomatologie simili a quelle ansiose. Imparare a respirare lentamente potrebbe essere un primo metodo utile per gestire la propria ansia.


Di seguito, delineerò alcuni dei disturbi d’ansia più importanti, cercando di essere il più esplicativo possibile sui meccanismi che li mantengono, e sugli strumenti che potrebbero aiutare ad affrontarli. Ricordo, tuttavia, che le informazioni sotto riportate non possono sostituire un reale percorso terapeutico, e vogliono semplicemente essere un modo attraverso il quale aiutare le persone a familiarizzare con alcuni concetti psicologici. Avere nozioni su quello che succede e su cosa è possibile fare, è molto diverso dal sapere come farlo.

Per avere informazioni maggiormente specifiche o fare richieste di carattere personale, non esitate a scrivermi nella pagina delle consulenze.



Disturbo da attacco di panico


L’attacco di panico è descritto come un’improvvisa manifestazione di ansia caratterizzata da sintomi somatici o cognitivi che aumentano progressivamente raggiungendo l’apice solitamente nel giro di 10-20 minuti. Tra questi si trovano risposte fisiche come palpitazioni, capogiri, sudorazione, sensazione di soffocamento, nausea, formicolio e sintomi cognitivi come paura di perdere il controllo, di impazzire, di morire, e senso di de realizzazione (come se fossimo fuori dal nostro corpo).

Le persone imparano presto a riconoscere le situazioni nelle quali potrebbero essere assalite dall’ansia e dal panico (spesso simili a quella che ha scatenato il primo attacco), cominciano a provare ansia solo all’idea di affrontarle (la cosiddetta ansia anticipatoria), e quindi tendono ad evitarle del tutto, rinforzano in tal modo il cosiddetto circolo vizioso del panico.

Esso può essere raffigurato in questo modo:

                                            

Questo ciclo comportamentale genera due possibili effetti: il primo consiste nell’esasperazione delle sensazioni somatiche (la persona sta sempre peggio non per quello che sta accadendo, ma per la sua paura di stare male); il secondo impedisce la disconferma delle interpretazioni erronee stesse (la fuga o l’evitamento impediscono di osservare ciò che sta realmente accadendo, per valutarne l’effettiva pericolosità).


Osservando questo schema e le osservazioni sopra riportate, è evidente come l’obiettivo terapeutico debba essere proprio quello di rompere il circolo vizioso, soprattutto a livello delle interpretazioni catastrofiche che modulano negativamente le aspettative della persona aumentando la probabilità di evitare un numero sempre maggiore di situazioni. Risulta importante, in questo senso, lavorare su quelli che vengono definiti “pensieri automatici”, ovvero pensieri, immagini che la persona attiva nelle situazioni ansiogene, e che spesso indicano l’ineluttabilità di dover affrontare conseguenze terribili e catastrofiche. Cercare di valutare in maniera maggiormente realistica la probabilità che accadano davvero le conseguenze temute è un passo essenziale nella costruzione di esperimenti comportamentali (esporsi alle situazioni ansiogene), grazie ai quali mettere alla prova le proprie aspettative.

Questi processi sono ovviamente complessi e spesso è necessario l’aiuto di un terapeuta esperto per aiutare la persona ad affrontare gradualmente le sensazioni e le situazioni temute, aiutandolo ad accettare l’assenza di controllo come dimensione naturale della natura umana. Questo è tanto più vero quanto più il disturbo è radicato nel soggetto, avendogli limitato significativamente la vita sociale, lavorativa ed affettiva.



Disturbo di fobia sociale


La fobia sociale è un disturbo comune, in cui il soggetto teme che le proprie prestazioni lo possano esporre a valutazioni negative da parte degli altri. Il termine “prestazione” si riferisce a tutti quei compiti quotidiani che mettiamo in atto e che sono soggetti al possibile giudizio altrui, come il mangiare in pubblico, firmare, parlare con uno sconosciuto o un gruppo di persone.


La caratteristica centrale delle persone che presentano ansia sociale è il forte desiderio di dare una buona impressione di sé agli altri e questo è accompagnato da una grossa incertezza sulla sua riuscita (problema di controllo della situazione). Quando i fobici affrontano una situazione sociale la giudicano pericolosa, temono di correre il rischio di agire in modo inaccettabile, e che questo porterà a conseguenze drammatiche per il loro status sociale (rifiuto o umiliazione). La cosa peggiore è che, spesso, con tali aspettative e con le scarse abilità sociali che queste persone presentano, mettono in atto comportamenti che li allontanano dalle altre persone, rinforzando così l’idea di essere rifiutati ed inadeguati (la profezia che si auto avvera).


All’interno di una situazione critica, la persona si pone in una prospettiva di osservazione, concentra tutta l’attenzione su sé stesso, come se una persona estranea lo stesse osservando. Nel tentativo di controllare la propria prestazione attraverso tali auto-osservazioni, la persona se ne fa un’immagine distorta, e rinforza paradossalmente proprie quelle paure che cercava di eludere così fortemente.


Il lavoro centrale, in tal senso, è quello di modificare le aspettative della persona, non tanto sulla possibilità che certi avvenimenti possano accadere (non essere accettati è un evento piuttosto quotidiano a tutte le età), quanto sul significato che tale evento assume per la persona. I fobici sociali tendono non solo a catastrofizzare, ma anche ad utilizzare una forma di pensiero del tipo tutto o nulla: o vengo accettato da tutti quelli che sono intorno a me, o sarò sempre rifiutato da tutti e non varrò mai niente.

Le esposizioni alle situazioni sociali ansiogene devono essere affrontate con l’aiuto di un professionista, che sappia non solo graduarle in relazione alle difficoltà dell’individuo, ma che sappia anche dargli strumenti di sviluppo delle proprie abilità sociali.


Tra queste, una parola deve essere spesa per l’assertività, che indica un modello di relazione con sé stessi e con gli altri improntato all’equilibrio tra un atteggiamento aggressivo ed uno passivo. Pensate a quanto può essere difficile dire di no ad un amico o ad un superiore che ci chiede dei favori che non vogliamo dare. Secondo il principio della comunicazione assertiva, è importante avere sempre ben presenti quali sono i nostri diritti, e comportarci nel tentativo di non calpestarli per nessun motivo. Spesso accettiamo compiti o deleghe perché temiamo che, se rifiutassimo, le persone che ne hanno fatto richiesta ci allontanerebbero, o penserebbero male di noi. Quando succede, pensiamo invece: “è giusto quello che sto facendo? È davvero quello che vorrei fare? È giusto che me l’abbia chiesto? Davvero perderò la sua stima se gli dirò di no? E se così fosse, sarebbe davvero così grave?”

Se l’assertività diventasse il nostro caposaldo nelle relazioni umane, molti ostacoli e molte trappole comunicative sarebbero facilmente superate.



Disturbo di ansia generalizzata


L’ansia generalizzata è un disturbo piuttosto comune, caratterizzato dalle cosiddette “rimuginazioni”, ovvero manifestazioni eccessive di ansia e preoccupazione relative ad alcuni eventi che possono durare da alcuni minuti ad alcune ore, e che vengono vissute dalla persona come incontrollabili e disturbanti. Sebbene spesso possa capitare che tali preoccupazioni siano attivate involontariamente, in realtà il mantenimento delle stesse risulta essere un processo volontario, dovuto alla credenza che preoccuparsi di una situazione ne aiuti la risoluzione.


A ben guardare molte persone hanno questa convinzione: se riflettiamo su un problema, sarà più semplice trovarne la soluzione. Queste rimuginazioni, tuttavia, non solo non permettono di raggiungere alcun obiettivo, ma focalizzano l’attenzione sull’ansia provata e sulle conseguenze che essa potrebbe produrre. in questo modo, una volta attivata tale preoccupazione, se ne sviluppano altre conseguenti a questa, e la persona “si preoccupa di essere così tanto preoccupato”.

Le credenze positive relative ai vantaggi della ruminazione motivano l’individuo ad attivarla, ma una volta presente essa viene valutata incontrollabile e dannosa, in grado di creare conseguenze sociali negative. Tutto questo porta, come risulta evidente, ad un aumento esponenziale dell’esperienza ansiosa.

Ancora una volta, dunque, ci troviamo di fronte ad un circolo vizioso, alla base del quale vi sono difficoltà nella gestione e nel mantenimento del controllo.


Quasi tutte le persone, di fronte ad un evento stressante, entrano all’interno di un processo auto regolativo di questo tipo, ma alcune di esse non riescono ad uscirne, rimanendo impigliati all’interno della rete ruminativa. Questo può accadere perché l’attenzione di questi soggetti rimane focalizzata sulla discrepanza tra stato reale e desiderato, portando ad una ripetizione continua del tentativo di autoregolazione senza però giungere mai ad una soluzione soddisfacente. In tal modo l’ansia associata a questo processo li accompagna continuamente, in quasi tutti i contesti della loro vita.


Ancora una volta l’obiettivo della terapia è quello di rompere il circolo vizioso sopra delineato; i punti deboli sui quali è necessario lavorare sono quelli relativi alle credenze relative al mantenimento della preoccupazione, sia quelle positive che quelle negative. Tra gli strumenti utili in tal senso abbiamo l’analisi dei costi e dei benefici delle credenze positive sulla ruminazione (se penso sempre ai miei problemi riuscirò a superarli) e la riattribuzione verbale di quelle negative (se continuo a pensare in questo modo diventerò pazzo). Un altro aspetto particolarmente utile è il training dell’attenzione, che permette alla persona di accorgersi dell’attivazione dell’attività ruminativa, disinnescandola.



Disturbo ossessivo-compulsivo


Tra i disturbi dello spettro ansioso, questo è certamente uno dei disturbi potenzialmente più invalidanti, e con la prognosi più incerta.



L’aspetto fondamentale di questo disturbo è dato dalla presenza di ossessioni e di comportamenti compulsivi di durata considerevole (più di un’ora al giorno), che generano forte disagio e sofferenza. Le ossessioni sono costituite da pensieri, impulsi o immagini mentali che si presentano insistentemente senza il volere consapevole della persona. Una persona religiosa può avere insistentemente, ad esempio, pensieri blasfemi, o una madre può combattere contro l’idea ricorrente di picchiare il figlio appena nato. Le ossessioni, di solito, si riferiscono a tematiche ricorrenti: la paura del contagio, il dubbio (avrò chiuso il gas? E la porta?), impulsi criminosi ed aggressivi (assalire qualcuno) e fantasie sessuali.


Le compulsioni sono definite come delle azioni ripetitive e ritualizzate, sia esplicite (visibili ad altri) che implicite (non visibili). Tra le prime possiamo avere comportamenti come quello di lavarsi le mani ripetutamente, controllare continuamente di aver eseguito una certa azione, sistemare di continuo taluni oggetti e così via. Tra le seconde, invece, vi sono azioni mentali come pregare, contare, o ripetere continuamente alcune parole. Lo scopo di questi comportamenti è quello di prevenire o alleviare l’ansia ed il disagio derivanti dai pensieri intrusivi sopra descritti.


Un esempio per facilitare la comprensione. Se una persona teme di aver toccato qualcosa di sporco, vivrà una forte ansia per la paura di poter essere stata contagiata o poter contagiare qualcun altro. Il malessere si attenua lavandosi le mani, e dunque quest’azione verrà vissuta non solo come adeguata, ma addirittura come indispensabile, rinforzando in tal modo la credenza che il pensiero di una possibile contaminazione sia effettivamente realistico.


Anche per questa forma di disturbo, le tecniche che si sono mostrate di maggior utilità sono quelle cognitive e quelle comportamentali, anche se c’è da dire che, proprio per la caratteristica di inflessibilità di queste persone, i miglioramenti sono raggiungibili con molta pazienza e con un trattamento piuttosto lungo nel tempo.

Come per gli altri disturbi d’ansia il lavoro cognitivo è orientato a mettere in discussione la veridicità degli assunti che sono alla base dei pensieri ossessivi della persona. Un soggetto potrebbe credere che pensare di aggredire qualcuno sia di per sé una cosa grave; o che pensare di tradire la propria ragazza sia esso stesso un tradimento. In tal senso, un obiettivo importante da raggiungere è quello di evidenziare come pensiero ed azione siano due elementi fortemente differenziati; pensare un’azione, per quanto moralmente esecrabile, non equivale a metterla in atto.

Le tecniche di esposizione, associate a quelle cognitive sopra esposte, sono fondamentali nel trattamento di questo disturbo. Tra esse, riveste una grande importanza la cosiddetta “prevenzione della risposta”: la persona si espone alle situazioni che scatenano i rituali compulsivi, ma nel contempo evita di mettere in atto tali rituali per periodi di tempo sempre più prolungati. In questo modo, da un lato il soggetto si rende conto dell’inutilità di tali azioni e della conseguente erroneità delle sue aspettative riguardanti le ideazioni ossessive, mentre dall’altro si abitua all’ansia, diventando sempre più abile nella gestione della stessa.