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LA RIGIDITA’ PSICOLOGICA
Quanto ci fidiamo di quello che ci dice la nostra mente? Quanto ci sembrano affidabili i nostri pensieri?
La maggior parte dei disagi emotivi e psicologici che viviamo nel corso della nostra esistenza derivano principalmente dalla nostra incrollabile “fede” in schemi ed assunzioni cognitive appresi nel corso degli anni e rispetto ai quali non nutriamo il benchè minimo dubbio, teoremi che non possono essere confutati. Ma, a ben guardare, neppure messi alla prova in relazione alla realtà circostante.
Aaron Beck, uno dei padri fondatori della psicoterapia cognitiva, aveva evidenziato come le interpretazioni della realtà che ogni individuo costruisce attraverso le relazioni con essa, siano centrali nella comprensione dei disturbi d'ansia o depressivi, divenendone l'architrave, l'elemento fondativo che li sostanzia e li mantiene nel tempo.
Il vero problema, in effetti, è che il cervello agisce in modo da mantenere “vere” tali assunzioni, tenendo conto soltanto delle informazioni e degli stimoli che ne rafforzino la validità, senza tenere in alcuna considerazione tutta la realtà incongruente con essi. Fa parte delle esperienze comuni e quotidiane che due persone, pur vivendo la medesima situazione, ne abbiano ricordi profondamente differenti, e diverse conseguenze emotive. Un timido ed un estroverso presenti alla stessa festa ne avranno un vissuto opposto, non soltanto per le diverse interpretazioni costruite dalle loro menti, ma anche per il loro comportamento, che basato su queste ultime, li porterà a relazionarsi in maniera differente con le altre persone e con le situazioni vissute.
Dunque quello che pensiamo può influenzare in maniera profonda quello che proviamo; se i pensieri che attraversano la nostra mente sono caratterizzati da componenti catastrofiche, sarà più probabile esperire vissuti di ansia, che a livelli elevati può tramutarsi in panico o fobia di varia natura.
Oltre al contenuto dei pensieri, tuttavia, vi è un altro aspetto importante da tenere in considerazione per comprendere la gravità di un problema psicologico: la cosiddetta rigidità cognitiva. A tutti è successo di avere pensieri catastrofici; in questo il nostro cervello è così fantasioso da battere qualunque sceneggiatore hollywoodiano. Alcune persone tuttavia credono ciecamente a quello che dice la loro mente, senza alcun dubbio; e dunque anche di fronte a situazioni previste ma oggettivamente improbabili, la loro reazione è di forte intensità, come se la previsione fosse coincidente con la realtà, così vera da non poter essere messa in discussione. Pur avendo, la maggior parte delle persone, un certo grado di rigidità cognitiva, soltanto alcune ne mostrano livelli così elevati da rendere i disagi emotivi egosintonici, ovvero parte integrante della loro stessa esistenza. In tal modo, l'ansia, la preoccupazione o la depressione non sono elementi problematici, ma conseguenze naturali di valutazioni probabilistiche della realtà e del futuro. I pensieri diventano così identificabili con la realtà circostante, da divenire essi stessi reali. Per questo non possono essere messi in discussione, perchè giungere a considerarli semplici prodotti del cervello equivarrebbe a mettere in discussione le proprie abilità valutative, le proprie capacità mentali, e ciò potrebbe risultare molto più catastrofico ed orribile delle peggiori previsioni cognitive. Queste persone hanno la sensazione di non avere alcuna possibilità di scelta; se smettessero di credere ai loro pensieri, perderebbero la loro stessa identità. Ma è questo l'aspetto peggiore del loro disagio: la mancata consapevolezza di essere stati loro stessi a dare un tale potere alla loro mente, e la convinzione di non poter far nulla per vivere una vita differente.