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IL GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO
Le notizie che in questi giorni riempiono le pagine dei giornali riguardanti molte partite di calcio truccate, oltre a suscitare il biasimo e l'indignazione di tifosi o semplici amanti dello sport, danno la possibilità di riflettere su un disturbo spesso poco conosciuto, ma di forte impatto clinico, economico e sociale: il gioco d'azzardo patologico.
Il gioco d'azzardo non è di per sé una forma di patologia psicologica; è una forma di attività ludica, e molte persone ne hanno fatto una vera e propria professione (basti pensare ai giocatori di poker professionisti, ad esempio). Affinchè si possa parlare di disturbo clinico è necessario che si presentino alcuni sintomi specifici. La persona è completamente assorbita dal gioco d'azzardo tanto da rivivere esperienze di gioco passate, programmando le prossime, cercando ossessivamente di ottenere il denaro per poterlo fare. Le puntate aumentano progressivamente, unico modo per raggiungere il medesimo stato di eccitazione provato all'inizio. Si sviluppa ben presto il cosiddetto fenomeno della “rincorsa delle perdite”, ovvero la tendenza a continuare il gioco per rifarsi dei soldi perduti nel corso delle puntate. Ma l'aspetto più pericoloso, che avvicina in maniera terribile questo disturbo alle dipendenze da sostanze, è l'incontrollabilità del comportamento ludico, tanto da parlare di “gioco compulsivo”; la persona “sente” una spinta irrefrenabile al gioco, vive stati di ansia e di tensione molto potenti quando cerca di ridurre o smettere di giocare, mente ai familiari, utilizza mezzi illeciti per procurarsi il denaro, e può arrivare a perdere il lavoro e le relazioni significative.
Per una persona che cade dentro il circolo vizioso del gioco compulsivo è molto difficile uscirne senza aiuto professionale, un aiuto che deve coinvolgere anche la struttura famigliare, senza il cui aiuto è impossibile raggiungere risultati significativi. In effetti, il circolo del gioco tende ad autoalimentarsi inesorabilmente; come molti ex-giocatori patologici spesso ricordano, non è tanto l'azione in sé ad essere rinforzante, ma l'adrenalina che accompagna la puntata e che precede il momento della verità. Al di là dell'aspetto economico, non è neppure importante vincere; è l'azione del gioco ad essere eccitante, più che la sua conseguenza materiale. Anche questo è un elemento significativamente simile alla tossicodipendenza. La maggior parte delle persone che abusano di sostanze sono consapevoli del fatto che con l'andare del tempo l'effetto fisico delle droghe cessano nel giro di qualche minuto; è l'azione stessa di trovare “la roba”, di prepararla, di iniettarsela o di “calarsela” ad essere appagante e rinforzante.
Un ulteriore aspetto che rende la dipendenza da gioco difficile da affrontare è la tendenza ad usarla per affrontare stati d'ansia e di depressione, ovviamente sempre più numerosi nel corso dello sviluppo della patologia, per le ovvie conseguenze sia psicologiche che economiche e sociali. Dunque ecco some si sostanzia il circolo vizioso: più si gioca, più si vivono situazioni di sconforto, di frustrazione, e di perdita, e più si cerca rifugio e consolazione nel gioco stesso, in un vortice che spesso cessa in maniera tragica (i tentativi di suicidio sono quattro volte più alti rispetto alla popolazione “normale”).
La terapia più utile per queste forme di patologia è senza dubbio quella cognitivo-comportamentale, che ha la maggiore incidenza nel trattamento dei comportamenti compulsivi. Per quanto la terapia sistemica possa avere un valore importante nel “mantenimento” dei risultati terapeutici, un programma di “controllo” del comportamento ludico patologico è senza dubbio indispensabile per cercare di uscire dal terribile circolo vizioso del gioco. Molti colleghi, a torto, ritengono che sia necessario “liberalizzare” ancora di più il comportamento, per fare uscire il paziente dalla bolla di menzogne e di sotterfugi nel quale si ritrova, riducendo così la sensazione di vergogna e di paura. In realtà questa via è pericolosa ed inefficace, perchè ridurrebbe la motivazione al cambiamento del paziente, inducendo i familiari e gli amici a colludere con il disturbo, anche involontariamente. La terapia di controllo della compulsione, invece, agisce proprio sul comportamento patologico, aiutando la persona ad “abituarsi” a livelli sempre più crescenti di ansia, associati all'interruzione prolungata del gioco, fino alla sua estinzione, che deve essere il vero obiettivo della terapia.