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IL VALORE DELLA PUNIZIONE
Il tema dell’educazione è ormai oggetto di dibattiti tra esperti di vario genere; non ci sono riviste o giornali che non abbiano rubriche dedicate, e in televisione sono nate trasmissioni che tra lo scientifico ed il reality show hanno portato tate, educatrici ed affini a diventare riferimenti pedagogici ineludibili. Senza contare, ovviamente, i dibattiti prettamente sociologici su cosa significhi educare, e su come sia possibile farlo non solo con i bambini, ma anche con gli adulti e le masse. E così, ogni volta che viene promulgata una nuova legge un poco più restrittiva, o fissate regole un poco più rigide, ecco spuntare l’eterno dissidio tra cosa sia più utile, liberalizzare o reprimere, permettere o limitare. Fino a punte eccelse di utopia, dove si teorizza un mondo “rogersiano”, nel quale l’uomo è intrinsecamente buono e giusto, e dove è possibile “educare” le persone con la parola e la persuasione. Un elemento onnipresente è la demonizzazione della punizione “tout court”, intesa come un dannoso strumento di tortura, portatrice di indelebili segni nella struttura psicologica dei bambini, e causa di umiliazione insopportabile per gli adulti che la subiscono.
È importante ricordare un aspetto centrale in disquisizioni come queste: i principi dell’apprendimento che permettono l’adattamento all’ambiente sociale di appartenenza sono gli stessi per tutto il mondo animale, uomo compreso. Ed essi sono sostanzialmente due, il rinforzo e la punizione. L’individuo mette in atto dei comportamenti a cui fanno seguito conseguenze ben definite; se esse sono positive, verranno chiamate rinforzi ed aumenteranno la probabilità di rimettere in atto quell’azione nel futuro, se sono negative, saranno definite punizioni, e ridurranno la possibilità di rivedere la stessa in tempi brevi.
Vi è, ovviamente, una differenza importante tra questi due principi, e non soltanto da un punto di vista etico o morale. Il rinforzo ha certamente un maggior impatto educativo; i comportamenti che lo precedono hanno più probabilità di essere mantenuti nel tempo, e per questo risulta essere uno strumento fondamentale per accrescere le capacità adattive dell’individuo, sia da un punto di vista pedagogico, sia sociale. Del resto, è più facile premiare un comportamento positivo piuttosto che punirne uno negativo; dare un premio è appagante quasi quanto riceverlo. Spesso, tuttavia, si dimentica un altro principio educativo centrale: i rinforzi usati a scopo educativo devono essere gradualmente ridotti, diventando sempre più intermittenti, in modo da rendere il comportamento autonomo dagli stessi, e dunque parte integrante delle abilità comportamentali del soggetto.
La punizione agisce in maniera opposta. Essa non porta ad apprendere, ma semplicemente limita, differenziando i comportamenti inadeguati da quelli adeguati. E, per funzionare adeguatamente, deve essere erogata sempre, senza eccezioni, nel più breve tempo possibile dalla messa in atto del comportamento indesiderato. Se un bambino mette la mano su un oggetto che fuma, si scotterà, ricavandone dunque una punizione; è improbabile che ci riproverà, ma se dovesse farlo, la conseguenza sarebbe la medesima, ogni volta che cadesse nell’errore. La regola “non si toccano gli oggetti che fumano” a quel punto sarà impressa a fondo nella sua mente.
Se il rinforzo è uno strumento centrale nell’educazione del singolo, la punizione è altrettanto fondamentale per la costruzione di un contesto sociale di convivenza comune. Essa è alla base della costruzione di regole e del rispetto delle stesse, soprattutto nel contesto sociale. Non si può prescindere da questo principio semplicissimo; esso è il solo contesto nel quale sia possibile lavorare per produrre, con l’uso dei premi, comportamenti virtuosi innovativi.