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AMORE GENITORIALE?
Della notizia giunta qualche giorno fa da Napoli, dove tre ragazzi ventiquattrenni hanno abusato selvaggiamente di un ragazzino di quattordici anni perché sovrappeso, mandandolo all’ospedale in fin di vita, l’aspetto più agghiacciante è stato il commento dei genitori di uno degli aggressori: era soltanto uno scherzo.
Questo è solo l’esempio più estremo di quanto accade quotidianamente nella nostra società (in)civile. Gli insegnanti, soprattutto delle scuole primarie, vivono nella paura dei genitori dei loro alunni: troppo spesso vengono insultati, criticati, ogniqualvolta provino a riprendere o a dare giudizi negativi ai figli, considerati vittime di maestri malvagi ed incapaci.
Cattiva pedagogia e una psicologia dell’evoluzione incerta e pseudoscientifica hanno contribuito a costruire questi nuovi dogmi educativi: il proprio figlio va assecondato, scusato, assolto, in una concezione di amore distorta, che nulla ha a che vedere con il significato reale di questa parola.
Negli ultimi quindici/vent’anni abbiamo sostituito il concetto di accoglienza con quello di sottomissione. I “bravi” genitori hanno il dovere di sottomettersi ai desideri dei loro figli, senza metterli mai in discussione, senza cercare di coglierne il significato, senza poter dare mai dei limiti invalicabili, pena il giudizio degli altri, una lettera scarlatta che ne certifichi il fallimento genitoriale. Sin dalla più tenera età, il gioco è quello di indovinare i desideri del proprio figlio, di riuscire ad anticiparli, in modo che non debba mai, e sottolineo mai, doversi bagnare nelle acque gelide e dolorose della frustrazione. Sono via via nati, come fiori primaverili, migliaia di manuali del bravo genitore, zeppi di elenchi di consigli, di buone pratiche, per diventare maestri dell’accoglienza e dell’amore parentale: si è scoperto qual è il tempo minimo di contatto fisico con la madre, si è arrivati a dire che il sonno è una dimensione terribile per il neonato, che potrebbe esserne traumatizzato, e che dunque deve sempre dormire accanto alla propria madre, fino ad arrivare all’idea di dover sempre e comunque assecondarne i capricci, i desideri, pena la riduzione dell’autostima, ed un senso ineludibile di abbandono.
Tutte queste doverizzazioni a cui sottomettersi nel tentativo di diventare genitori perfetti, hanno portato a conseguenze disastrose. I bambini non imparano a riconoscere i limiti e le regole, confondono l’amore e l’accettazione con le pretese, arrivando a diventare piccoli narcisisti incapaci di comprendere il significato delle loro azioni. Vivono le frustrazioni come ingiustizie inenarrabili; diventano incapaci di distinguere i loro desideri dai loro bisogni, confondendoli come se fossero la stessa cosa; costruiscono un’immagine del mondo dove nulla debba andare in maniera differente dalla loro volontà, e non
appena accada qualcosa di deviante dalla norma, ecco che diventa una tragedia senza possibilità di salvezza.
E’ questo l’amore che dobbiamo ai nostri figli? Significa metterli su un piedistallo, raccontando loro di quanto siano perfetti ed il mondo profondamente sbagliato ed ingiusto? Sottomettendoci ai loro desideri, ai loro capricci, abbandonando l’idea di essere modelli autorevoli, indispensabili per la loro crescita? Farli sentire accolti significa questo? Difenderli sempre e comunque, anche e soprattutto dalle loro emozioni “negative”, insegnando loro che esse sono sbagliate e che devono essere evitate in ogni modo possibile?
Troppo spesso dimentichiamo che siamo modelli funzionali per i nostri bambini.
Attraverso il nostro modo di comportarci apprendono chi sono, e cosa aspettarsi da loro stessi e dal mondo intorno a loro. La vera accoglienza non significa fingere che tutto vada bene, sempre e comunque; ma significa dimostrare che noi ci siamo sempre, che il nostro amore nei loro confronti non cambia, che li amiamo così tanto da voler essere sempre presenti quando sbaglieranno, quando faranno del male a loro stessi o agli altri, rimettendoli sulla strada giusta. Insegnando loro che dagli errori si impara, ma soltanto ammettendoli; e che imparare ad accettare le proprie emozioni dolorose permetterà loro di diventare adulti equilibrati in un mondo imperfetto.