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RIGIDE ASPETTATIVE
In questi giorni cadenzati dagli esami di maturità, uno dei momenti più significativi e più ricordati della fine dell'età adolescenziale, il tema delle “attese”, degli obiettivi da raggiungere per sostanziare un futuro di benessere e di felicità, è certo di grande attualità. Il momento delle scelte (e quello coincidente con la fine delle scuole superiori lo è senza dubbio) può essere al contempo ricco di entusiasmo e di timore; la sensazione di poter scegliere chi si vuole essere, quale ruolo volersi ritagliare nel mondo si accompagna inevitabilmente all'idea, terribile e terrifica, di poter sbagliare, di connotare la propria esistenza con il marchio peccaminoso del fallimento, di perdere un'occasione che mai più potrà ripetersi nel futuro.
La vita degli esseri umani è fortemente caratterizzata dalle aspettative; in parte esse vengono apprese nel corso della vita, in parte rappresentano dei veri e propri obiettivi verso i quali pianificare e progettare l'intera esistenza. In entrambe le situazioni, tuttavia, esse possono risultare le vere cause di ansia e depressione, di una quotidianità punteggiata dal timore di fallire o di vedere continuamente le medesime paure ripetersi e concretizzarsi giorno dopo giorno.
Facciamo qualche esempio. Una persona timida ha l'aspettativa di non valere abbastanza per essere notato dagli altri, e vive con il terrore di affrontare esperienze che lo costringano a subire giudizi ed umiliazioni da chi lo circonda. Una persona ansiosa ha la certezza che le cose andranno male, nell'idea di non poter avere mai il sufficiente controllo su sé stesso e sulla propria vita che le permetta di vivere serenamente. Una persona depressa ha la rigida convinzione che la sofferenza sia la sola dimensione di vita conoscibile e che nulla di quanto potrà fare nel futuro le permetterà di cambiare questo aspetto dell'esistenza.
Queste aspettative producono quelle che in psicologia vengono definite “profezie che si autoavverano”; considerando reali questi pensieri le persone si adattano ad essi, modificando la loro vita in modo da mantenerle nel tempo, rafforzandone il significato. Il timido tenterà in ogni modo di evitare situazioni potenzialmente spiacevoli, diventando invisibile agli occhi degli altri, così facendo impedendo a sé stesso di vivere esperienze che gli consentano di sentirsi adeguato ed all'altezza. L'ansioso cercherà di costruire contesti in cui abbia la sensazione di possedere l'assoluto controllo, evitando tutte le situazioni nelle quali esso non sia possibile, tuttavia impedendosi così di sperimentare quanto sia realmente catastrofico esperire eventi non totalmente gestibili da lui stesso. E il depresso, infine, tenderà a ritirarsi sempre più in sé, in una sorta di piccolo universo nel quale il mondo non possa entrare per distruggerlo, rafforzando in tal modo l'idea che la vita sia soltanto una gabbia dalla quale non è possibile fuggire.
E cosa accade quando le aspettative diventano dei rigidi obiettivi da realizzare a qualunque costo per poter affermare di vivere una vita piena e soddisfacente? Una cosa non molto dissimile a quanto sopra descritto. Se ci poniamo degli standard troppo severi, in riferimento ai quali definire noi stessi e la vita che viviamo, rischiamo di non assaporare a pieno le esperienze che incontriamo quotidianamente, troppo occupati a tentare di raggiungere una dimensione irrealizzabile e di soffrire per i nostri insuccessi, per renderci conto di quanto sta accadendo intorno a noi. Se costruiamo la nostra esistenza su aspettative rigide ed irrazionali siamo destinati a conoscere soltanto l'amaro sapore della delusione, e a non essere realmente consapevoli delle nostre capacità e delle enormi possibilità che il mondo quotidianamente ci sa offrire.