ARTICOLI PUBBLICATI
ARTICOLI PUBBLICATI
BULLI SENZA PUPE
Un recente fatto di cronaca avvenuto in una scuola media in provincia di Parma ha dato nuovo fiato ad un fenomeno sociale in preoccupante crescita negli ultimi anni, quello del “bullismo”. Questo termine è un adattamento italiano del termine inglese “bullying”, che definisce i comportamenti di prepotenza tra bambini e adolescenti, caratterizzati da oppressione fisica o psicologica e agiti in modo prolungato da una persona o da un gruppo nei confronti di una o più vittime.
Nonostante i molti sforzi compiuti dalle scuole e dai diversi contesti educativi, pare non si riesca a trovare una soluzione efficace per limitare questo fenomeno, che presenta gravi conseguenze sia a breve che a lungo termine, sia per la vittima sia per il suo carnefice.
Sgombriamo il campo da alcune credenze popolari. Innanzitutto non è il gruppo a creare il bullo, semmai è il contrario. L’aggressore può trovare forza nel contesto gruppale, può trovare parecchi rinforzi al proprio comportamento violento, ma nello stesso tempo egli ne è leader indiscusso. È il gruppo a seguire il bullo, ad essere affascinato dalla sua capacità di prevaricazione, e a diventarne complice quasi senza rendersene conto. Molti ragazzi che di quel gruppo fanno parte, a ben guardare, hanno le medesime caratteristiche della vittima; tuttavia, subire la fascinazione del leader violento permette loro di fuggirne le angherie, o quanto meno di limitarne i danni, facendole diventare parti integranti di un rito di affiliazione comune.
Molti sforzi si sono orientati a favore delle vittime, spesso a ragione, essendo le conseguenze delle azioni prevaricatrici fortemente negative sul piano psicologico e sociale. Alterazioni dell’umore, depressione, disturbi d’ansia, disturbi somatici, abbandoni scolastici, progressivo isolamento sociale sono solo alcuni degli indicatori che permettono di riconoscere la presenza del fenomeno. D’altra parte, le vittime hanno spesso delle caratteristiche individuali simili, che ne aumentano la probabilità di subire angherie dai loro aguzzini, come una certa introversione sociale, o la mancanza di abilità relazionali, o ancora, la presenza di deficit cognitivi o fisici. Eppure la azioni indirizzate in questo senso sono spesso destinate al fallimento; da un lato rendono le vittime ancor più diverse ed inadeguate agli occhi dei coetanei, dall’altro il bullo , pur se punito, spesso esemplarmente, ne viene comunque rinforzato nell’immagine di autorità da limitare, da temere, da controllare.
Chi è il bullo? Perché mette in atto comportamenti di questo tipo?
Molti interventi educativi si strutturano senza neppure tentare di rispondere a queste domande, partendo dal presupposto errato che il violento sia una categoria a parte e che dunque vada debellato con strategie particolari. Tutti possiamo essere potenziali bulli. Il fatto di esserli diventati oppure no, non dipende tanto da una differenza di fisiologia cerebrale quanto da un processo educativo innestato in un contesto sociale con alcune caratteristiche ben definite. Certo il bullo ha difficoltà a riconoscere le emozioni dell’altro, e il suo livello di empatia sarà piuttosto basso; ma questo è sufficiente per strutturare le proprie relazioni sociali sulle angherie e sulle prevaricazioni? Cosa rafforza questi comportamenti, spingendo l’aggressore a continuare a metterli in pratica?
È certamente importante punire comportamenti inadeguati o apertamente lesivi dell’altro, perché tutti si rendano consapevoli che vi sono limiti che non vanno superati. Ma d’ altra parte è essenziale tenere conto che un adolescente che aggredisce un coetaneo è un adolescente “malato”, una persona, prima che un bullo, con profondi problemi relazionali, che non potrà “guarire” fintanto che non riuscirà a risolverli. Può essere egli stesso vittima di abusi, che ha imparato che per difendersi meglio dall’altro bisogna colpire per primi. Oppure può essere un soggetto lasciato solo a sé stesso, all’interno di un contesto talmente lassista da avergli fatto apprendere di essere unico al mondo, senza alcuna regola da dover rispettare, rendendolo di fatto incapace di reciprocità.
Affinchè la soluzione sia davvero efficace, dobbiamo ricordarci di definire senza paura il problema che vogliamo affrontare, anche quando questo significa aprire il “vaso di Pandora” di relazioni familiari che hanno perduto da tempo il loro compito di crescere ed educare.