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L'AUTORITA' E IL RISPETTO DEI RUOLI
Si fa un gran parlare in questi tempi della deriva sociale che sta conducendo i giovani a non rispettare alcuna autorità e nessuna regola che venga imposta loro.
In realtà la difficoltà di imporre un’autorità riconosciuta è piuttosto evidente anche in molti contesti “adulti”, come quelli lavorativi, dove la gestione dei gruppi appare complicata nonostante il fiorire di un sempre maggior numero di corsi di formazione intra-aziendali.
Perché accade questo?
Il luogo di lavoro sta diventando, sempre di più, uno spazio nel quale i problemi da risolvere sono di carattere socio-emotivo piuttosto che operativo. L’obiettivo non è più quello di risolvere i problemi, ma di strutturare dei rapporti con i colleghi il più innocui possibili. Per questo è fondamentale far di tutto per dimostrarsi amichevoli piuttosto che competenti; spesso chi cerca di fondare il rapporto sulle capacità e sul rispetto dei ruoli è tacciato di immodestia o di senso di superiorità, e per questo, escluso dal gruppo.
In un contesto del genere è molto difficile riuscire a strutturare un’autorità riconosciuta, perché spesso chi dovrebbe esercitarla non lo fa, o per incapacità o per mancanza di possibilità. Se l’obiettivo non è essere riconosciuti per la propria esperienza o per i propri meriti, che magari vanno nascosti o minimizzati per un desiderio di finta uguaglianza, ma essere accettati, si comprende come sia impossibile essere dei veri leader.
La leadership non può venire richiesta come un favore, ma deve essere accettata dal gruppo, quando non imposta. Un leader autoritario spesso è utile nei momenti difficili, quando è necessario assumersi responsabilità pesanti in tempi immediati, mentre un leader maggiormente democratico funziona meglio nella quotidianità, nella consapevolezza, tuttavia, che essere disponibili ad ascoltare gli altri non significa condividere la responsabilità del potere di scelta.
Un leader incapace tenderà ad assecondare le richieste di tutto il gruppo per non essere inviso a nessuno, o a chiudere diversi occhi rispetto a regole apertamente disattese. Tenderà a non essere un modello per nessuno perché rinforzerà tutti i comportamenti dei suoi sottoposti, anche quelli sbagliati, per paura di perderne l’affiliazione, o peggio, non ne premierà alcuno per paura di essere giudicato debole ed inadeguato. E creerà un circolo vizioso nel quale anche i membri migliori del gruppo tenderanno ad appiattirsi su livelli bassi di rendimento, perché non adeguatamente riconosciuti, nel tentativo di “non fare differenze”, che nonostante tutto esistono e sono spesso evidenti.
In questo modo, tuttavia, egli sgretolerà le basi stesse della sua leadership, perchè i membri del gruppo non potranno fidarsi di un capo incapace di mantenere la rotta e di tracciare la strada da percorrere. Quello stesso leader, infatti, non sarà in grado di risolvere i problemi o di difendere il proprio team nei momenti di difficoltà.
Quello che non funziona in un contesto che dovrebbe essere altamente “formalizzato”, certo non funzionerà all’interno della famiglia, dove sussistono legami affettivi molto intensi. Genitori che non sanno premiare adeguatamente i propri figli, né punirli, ma che ne cercano l’amicizia per paura di perderne l’affetto, non possono certo essere modelli di leadership, né tantomeno insegnare loro a rispettare un’autorità che non riescono ad incarnare.